L’altro vino - Gv 2,1-11 |
+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
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una festa di nozze |
L’espressione il terzo giorno, che è stata sostituita con in quel tempo, completa la successione, giorno dopo giorno, che ci porta a Cana sei giorni dall’inizio (in Gv 1,29). Due i paralleli: la prima settimana del racconto giovanneo al sesto giorno colloca Cana, mentre nell’ultima settimana c’è la croce; sul piano della creazione nel sesto giorno Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza» (Gn 1,26).
Sembra che ci troviamo davanti ad un racconto fortemente simbolico in cui lo scandire dei giorni ci chiede di leggere l’evento del Messia come una creazione nuova che troverà il suo compimento il sesto giorno sul Calvario. Anche l’annotazione fu l’inizio dei segni ci rimanda a tutta la serie dei sei segni che Giovanni racconta (non usa mai la parola miracolo) che culmina con il settimo, la fuoriuscita di sangue e acqua dal cuore di Cristo sulla croce, raccontato in modo solenne: Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate (Gv 19,35).
La nostra traduzione parla di una festa di nozze (letteralmente nozze furono in Cana), spostando l’accento sull’aspetto gioioso dell’avvenimento nuziale rispetto a quello più fortemente simbolico dell’unione tra un uomo e una donna allusione all’Alleanza tra Dio e il suo popolo richiamato più volte dai profeti (Is 54,5ss.; Ez 16; Os 2-3). La parola festa richiama il banchetto, e dunque il vino che viene a mancare; con la mancanza del vino è lo spirito della festa che si stava conducendo a crollare. A leggere bene non è la festa a mancare di vino, sono proprio le nozze che sono private dell’essenziale, le nozze mancano a se stesse. Nel racconto si parla di Gesù e di sua madre, dei servitori, del maestro di tavola ma non degli sposi; soltanto lo sposo è chiamato in causa accusato di aver tenuto da parte il vino buono.
Giovanni ci sta raccontando che l’Alleanza è venuta meno a se stessa, ha perso di significato come il vino che sarebbe dovuto essere il migliore, invece è meno buono di quello che Gesù regala alla festa. Lo Sposo, a detta del maestro di tavola, ha tenuto nascosto il vino buono offrendo il meno buono, nei fatti non ne ha provveduto a sufficienza. È una accusa implicita a chi doveva mantenere viva l’Alleanza e invece l’ha lasciata vuota. |
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«Riempite d’acqua le anfore» |
Erano rimaste tristemente vuote le sei anfore di pietra, come la purificazione (rituale è un’aggiunta esplicativa del traduttore) dei Giudei era rimasta vuota di significati. È il destino di ogni forma religiosa, di ogni rito, che finisce di essere fine a se stesso se perde la sua relazione con il vissuto quotidiano, se diventa solo abitudine.
Quasi cinquecento litri di acqua sono dovuti andare ad attingere al pozzo i servitori (diaconi), una fatica non da poco è stata necessaria per colmare quel vuoto, come per dire che anche l’uomo deve fare la sua parte, la novità non sta nell’aria, il vino buono richiede fatica e impegno, ma anche Fede.
La Fede è certamente una delle chiavi di questo racconto: quella della madre di Gesù che dice ai servitori «Qualsiasi cosa vi dica, fatela», quella dei servitori che vanno a pozzo a rifornirsi di acqua e che quell’acqua attingono per servirla ai commensali. Non c’è una cronologia della metamorfosi, un susseguirsi logico delle cose, tutto è nel divenire dell’azione e della fede di quei poveri servitori chiamati a fare cose umanamente assurde. Eppure il loro lavoro, da servi non da padroni, è essenziale perché il Signore possa regalare il vino buono, necessario a dar vita all’alleanza di amore tra Dio e l’uomo. L’acqua della purificazione, la pietra delle anfore, la novità del vino potrebbe richiamare il Profeta Ezechiele: Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli, vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne (Ez 36,25-26). |
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lo sapevano i servitori |
Il maestro di tavola, lo sposo, i commensali non sanno nulla del vino che stanno bevendo, è come quello di prima, solo buono se comparato a quello venuto a mancare. Non si sono neppure accorti di cosa stava mancando così come non si sono accorti che quello che stanno bevendo è un altro vino, dono di Dio e del lavoro dell’uomo, frutto di una presenza altra che passa inosservata ma non ai servitori.
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25) |
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